Per tutta la settimana il meteo dava la domenica migliore del sabato, poi all’ultimo momento, col sabato già andato, tutto è cambiato,
le previsioni sono peggiorate e la pioggia ci avrebbe atteso in qualunque zona di montagna fossimo andati; rinunciamo ai tanti chilometri
che ci separano dal Magnola che voleva essere la nostra meta e convergiamo sulle montagne di casa, se andrà davvero male almeno ci saremo
risparmiati una scorpacciata di chilometri in auto. Avevo da tempo una idea rimasta però tale, una cosetta che proprio perché semplice e
perché tanto c’è sempre tempo per farla, sistematicamente non è mai diventata realtà; sui Sibillini, dalla più classica delle porte dei
Sibillini, Forca di Presta , volevo volgere ad Ovest, camminare lentamente per la costa Forcelline, raggiungere il rifugio città di Ascoli
a Colle Le Cese e da lì scendere nella parte più nascosta del Pian Grande fino a bordeggiare il Laghetto per poi risalire il monte Guaidone,
un mammellone erboso di poco conto con i suoi 1647mt se non fosse che la sua posizione centrale lo rende un balcone privilegiato e unico su tutto il Pian Grande.
Forca di Presta come al solito è la fabbrica del vento, nuvoloni neri e raffiche fredde ci accolgono, utilizziamo la collaudata preparazione
a quote inferiori e ci abbassiamo verso Castelluccio quel tanto che basta per toglierci dalla sella e dalle raffiche, parcheggiamo poco
sotto in una piazzola sulla sinistra, sul lato opposto della fonte che sgorga copiosissima.
Accanto ad un collettore dell’acqua piovana, proprio all’imbocco del vallone nasce il sentiero 207, prendiamo questo anche se viaggia un
po’ basso rispetto alla dorsale, avremo modo di salirci lentamente dopo il bosco che inizia quasi subito. Breve il tratto di bosco nuovo,
la natura che si risveglia, le giovani foglie appena spuntate sono in grado di illuminare anche queste giornate grigie; sbuchiamo fuori
dagli alberi nel giro di quindici minuti, una sorta di galleria tra gli alberi ci introduce lo scenario del Pian Grande e le geometrie dei
campi di lenticchie pronti ad ospitare la quasi imminente famosa fioritura; a questo luogo non ci si abitua decisamente mai, è di una bellezza
unica ed ogni volta è in grado di regalarti aspetti nuovi. La dorsale scorre alta, è meglio dire che il sentiero traversa piuttosto basso, ci
tocca risalire il versante del catino per circa una settantina di metri ma ci è dolce salire in questo verde mare cosparso da minute orchidee e
piccole genzianelle ancora chiuse. Raggiunta la linea di dorsale di Costa Forcelline l’orizzonte si apre verso Sud, sulla Laga incappucciata, e
sulla verde valle del Tronto; nuvoloni densi e compatti oscurano gli orizzonti che arrivano appena al monte Giano e al vicino monte Calvo. Si
cammina in quota, con piccoli saliscendi, non esiste una traccia, solo la lunga linea di dorsale a dettare la via, ci è compagna la piana sulla
destra che ha il potere magico di fermare il tempo e rendere una passeggiata un momento sereno. Il Vettore alle spalle è un cono troncato e scuro,
un nuvolone immane lo taglia orizzontalmente intorno ai 1500mt, una immagine di forte impatto.
Il percorso che ho in mente è tutto lì davanti, vari piccoli rilievi erbosi a variare l’altimetria fino Colle Le Cese, la rada boscaglia della breve
dorsale che scende verso la piana proprio in corrispondenza del laghetto, la tonda sagoma del monte Guadione che vorremmo risalire e poi l’attraversamento
della piana per chiudere l’anello, ero curioso di questa idea, me ne stavo letteralmente innamorando ora che ci ero sopra.
Raggiungiamo senza fretta i 1751mt di monte Macchialta ed inizia a piovere, poche gocce e per un po’ facciamo finta di niente, andiamo avanti ma le poche
gocce diventano pioggia leggera, sono solo le 10,30 della mattina, le previsioni promettevano pioggia dopo le 14, indossiamo i gusci, copriamo gli zaini
ma la speranza che il vento allontanasse la nuvola corsiera si infrange nella lenta ma costante chiusura ulteriore del cielo; quando le nuvole si
compattano e diventano indistinte non può che peggiorare, il Vettore dietro era sempre più coperto da una nuvola scurissima e anche su quel versante
gli escursionisti stavano mollando e rientrando alla base. Non rimaneva che ripiegare mestamente.
In discesa verso la comoda traccia della carrareccia che coincide col passaggio del GAS, ci accolgono fioriture fantastiche e fitte di orchidee e candidi
ed eleganti Narcisi, faccio finta di non avere fretta e di fregarmene della pioggia, la luce non è decisamente adatta ma provo a fotografare qualche
esemplare. Il rientro è veloce e quasi in piano, il rifugio degli Alpini giace mesto in una triste solitudine, di questi tempi e pochi anni fa sarebbe
stato il centro del mondo per molti. Quando raggiungiamo l’auto siamo sufficientemente bagnati e anche delusi, io soprattutto. Mi sento colpevole di
aver sottovalutato questa escursione, di aver trascurato questo ambiente privilegiando il più delle volte il versante opposto che sale alle vette
principali dei Sibillini e qualche volta le fioriture bellissime ma sempre inflazionate di visitatori.
Ecco, appunto le fioriture, il giusto distacco e godersela da fuori, dall’esterno, potrebbe essere quello il periodo giusto per tornare sui passi di
oggi e gustarsi questo angolo di paradiso.
Mi è rimasta la voglia, tanta, tantissima, solo oggi ho forse capito l’essenza di questa piana, di queste linee dolci a contrasto col versante che
sale repentino al Redentore; un gioiello della natura più importante di ogni affetto territoriale, dovrò guardarlo con occhi nuovi, con occhi di ha
ancora tanto da scoprire e assaporare. Sibillini, più che mai bellezza infinita.
La giornata non è stata vana, è continuata con un po’ di turismo “sibillino”, siamo stati a Visso, ovviamente e interamente quasi zona rossa e
interdetta a qualsiasi visita, ne abbiamo approfittato per acquistare il famoso Vissuscolo locale, il ciauscolo marchigiano secondo tradizione vera.
Da lì abbiamo raggiunto Norcia dove abbia girato tra le rovine della basilica e le tante casette per fortuna risistemate, piano piano la vita riprende
anche in queste zone, non potevo perdermi la tradizione degli strangozzi al tartufo norcino. La pioggia non ci ha lasciato un secondo, mangiare
all’aperto, con la pioggia che scende un metro più in là e a non più di 15 gradi un tempo non avrebbe avuto senso, oggi si fa anche questo per gustarsi il territorio.